La neve e il viaggio

Entrare in camera dopo una serata lunga ma rilassante, una di quelle serate in cui niente pare andare storto (il massaggio di mamma, l’insalata con la vinaigrette, il tè profumato e un bel film alla tv, e poi la doccia calda, il pigiama, il lettone) e vedere dallo spiraglio della finestra quella familiare luce ovattata dei lampioni, un po’ gialla, che si riflette sulla neve bianca e fioccosa che cade senza sosta.
Sorridere per la piccola gioia imprevista, subito soffocata dalle preoccupazioni per il viaggio di Paolo oggi (fino al centro della regione, in macchina).

Però godersela, quella minuscola gioia, e provare a raccontarla, anche se non bene, anche se nel momento sbagliato.
All’alba, scoprire che i germogli di giacinti e tulipani, che avevano appena fatto capolino dalla terra umida e ricca, sono di nuovo nascosti da una coperta bianca e spessa, alta almeno 40 centimetri.
Sopravviveranno, anche nascosti? O chineranno il capo, attendendo momenti e persone migliori di me?
Attraversare mezza Italia, in direzione nord, mi lascia perplessa e stordita. La neve è solo intorno a casa, in un raggio di 30/40 km non c’è quasi più. Già alle porte di Bologna non è più neve, ma una spruzzata bianca che non vede l’ora di trasformarsi in un grigio pantano…

Sul treno ci sono i biondi. I ragazzi biondi, che -realizzo all’improvviso- mancano totalmente nel posto dove abito. O meglio, ce ne sono anche dalle parti della mia casa di adozione (non di appartenenza), ma sono i tedeschi paciosi della Baviera, un po’ tondi e un po’ ingenui, che paiono sempre pronti a mangiare e bere. Facce bonarie, lievemente iraconde, di chi sceglie tatuaggi infantili come gli antichi marinai. Questi invece no. Questi sono i biondi alteri della nobiltà nordica, sottili, dall’aria raffinata, i capelli lisci e morbidi. Oppure ricci e un po’ arruffati. Comunque eleganti nel loro maglione d’altri tempi, da bohémien ripulito. Giacca scura, rigorosamente di velluto, e sciarpa soffice di pura lana, ad esaltare la carnagione: decisamente questi biondi sanno come vestire e come valorizzarsi (e decisamente io sto diventando una rompiballe attenta e puntigliosa, sull’estetica altrui).

Sul treno oggi viaggiano signore dallo sguardo tagliente e profondo, uomini svagati e distratti, immersi nel quotidiano sportivo, studenti impegnati e persone dipendenti dalle ultime scoperte della tecnologia, che non abbandonano nemmeno per un secondo i loro gioiellini dalla connessione eterna e onnipresente. La variopinta umanità è imprevedibilmente poco variopinta e molto seria, contenuta e discreta. Grigi, neri, marroni e verdi, beige e un solo colpo di luce arancio, che proviene da una cartella di tela. Io sola, con la camicia viola, sfuggo alla definizione, io. Come sempre mai a posto – mai completa – mai perfetta. Questa volta è il “sopra” che stona: la mantella beige con la sciarpa coordinata e la cartella di pelle rossiccia. Sarei dovuta essere beige e blu, per esempio. Un blu polvere che mi dona e mi illumina, con un tocco chiaro, per dire. E invece no: io non sono capace di abbigliarmi per intero da signorina perbene, e sotto sono nera e viola. Scoordnata. Scombinata.

Come una donna che non vuole diventare donna, una ragazza che non accetta il suo ruolo, una persona che fa di tutto per sottovalutarsi, non farsi incasellare senza essere in grado di diventare davvero originale.
Io. Spesso inadeguata. Lievemente fuori fuoco. Non del tutto a posto, non del tutto in ordine, non del tutto adatta. Quasi. Ma no.

Mi mancano scarpe da neve, e jeans: le cose che amo vivono con me fino a quando non si esauriscono per sfinimento e consumo. Così le scarpe, rotte, e i jeans, strappati. E i pantaloni che indosso oggi: con le tasche ormai inesistenti, ma dal taglio così perfetto da non riuscire a staccarmi da loro, come una novella coperta di Linus. Non le so finire, le storie, i racconti, le pagine. Come non riesco a chiudere le situazioni, come ho paura a portare a compimento ciò che inizio. E questo è -quasi - un racconto

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