le parole che non ho detto
La stazione centrale di Milano, arrivando da piazza della
Repubblica, accoglie maestosa e imponente, come un disegno dalle linee nette
e definite, ma sfumate con l’arancio del sole al tramonto. Pragmatica e vasta,
somiglia agli abitanti della città.
Un'istantanea che porta con sè un mondo. In fondo è istantanea di un intero mondo anche il viaggiatore isterico di
stamattina, che a Bologna voleva velocizzare la coda saltandola, e che pensava noi dormissimo solo perché eravamo su una sola fila anziché su due… “Signoraa!
si sbrighi! Che c’è gente che perde il treno non vede???”.
Il mio treno è
partito prima del suo, ma questo è stato un mero dettaglio per lui,
il nervoso e agitato viaggiatore non abituale.
il nervoso e agitato viaggiatore non abituale.
Come sempre, quando mi presento a capelli sciolti, qualcuno
(ogni volta un qualcuno diverso, peraltro: finora siamo a quota quattro) mi fa i complimenti per l’aspetto. Mentre mi
domando se non sia il caso di prestare maggiore attenzione alle mie
acconciature, ringrazio abozzando un sorriso e assolutamente senza rivelare che la
pettinatura di stamattina è frutto di un lavaggio accurato dei capelli e di una
prepotente asciugatura all’aria del treno, perché è mancato il tempo per asciugare i capelli a
casa.
Il capitolo abbigliamento. Finalmente ho conquistato il
cappotto marrone che mi è sempre piaciuto. Più che un cappotto, è un giaccone
dal collo sciallato e morbido. Indossato oggi per la prima volta, da me, a pieno titolo. Mi sentivo a mio agio: stivali
marroni, jeans, maglia carta da zucchero con l’enorme collo ad anello che mi fa
sentire protetta e coccolata, e il giaccone marrone nuova conquista. Deve
essere stata quella tranquillità a trasparire dalllo sguardo.
Una cascina in pieno centro a Milano. Finalmente sono andata
a vedere la famosa Cascina Cuccagna. Già due anni fa ci sarei dovuta andare,
era d’estate. Ma avevo saputo da poco di aspettare un bambino, te lo avevo
detto da poco, stavo venendo a patti con la rivoluzione. Non sarei stata in
grado di apprezzare quel luogo tanto particolare.
Oggi sì. La ragazza che già due anni fa mi presentò il
progetto questa volta mi fa conoscere un collega nuovo, arrivato da non molto a
lavorare in quello spazio. “Ma noi ci siamo già visti… credo” dico, e mentre lo
dico mi imbarazzo perché la frase è infelice (benchè sia esattamente quello che sto
pensando: ho la sensazione precisa di aver già incontrato questo uomo, ma non
riesco a capire dove… forse non ci hanno presentati? Forse era un incontro
comune e forse da un’altra parte? Niente da fare, non riesco a mettere a fuoco
e odio quando mi succede).
La sua risposta è esemplare:
“Dici? Può darsi… Però io sono di Torino”.
“...Ah. Anche io O_o”
La sua risposta è esemplare:
“Dici? Può darsi… Però io sono di Torino”.
“...Ah. Anche io O_o”
E insomma, forse era amico di amici al tempo dell’università,
o forse ci siamo incontrati per un progetto gastronomico circa sei anni fa…
sono gli unici due casi - fatta eccezione per l’età simile - che porterebbe a
pensare anche incroci scolastici assolutamente non ricostruibili in cui forse
è capitato di incrociarsi. Amen (ma almeno la figuraccia è scongiurata:
davvero, forse, ci siamo già visti).
Siamo in arrivo a Modena. E io ho la testa che frigge di
idee. Avrei voglia di tornare ad accoccolarmi vicino a te, e parlare parlare
parlare, facendo in modo di mettere ordine nella smania di pensieri che
frullano e non trovano il loro posto. In fondo questo foglio bianco è un
surrogato di quel parlare.
Venerdì vado a Torino. Venerdì sera. E ancora non so dove
dormire, ancora non ho deciso dove andare, ancora sono in subbuglio e vorrei un
luogo di ricarica, che non so scegliere. Responsabilità e scelte, anche per una
cosa così banale come il posto per una notte.
Qualcuno decida per me, per una volta. Una volta sola…
Qualcuno decida per me, per una volta. Una volta sola…
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